Nel settore delle risorse umane noi di BSS-Italia diamo valore alle persone e nessuno è più adatto a parlare di questo argomento di Arianna Teardo, la nostra responsabile HR
Da cosa si giudica il valore di una persona? Questa è la domanda che deve porsi tutti i giorni chi lavora nelle risorse umane. Riuscire a comprendere pienamente il potenziale di un individuo è forse uno degli aspetti più complessi della gestione di un’azienda, ma allo stesso tempo è anche uno dei più importanti: serve a ottimizzare al meglio i vari processi, produttivi e amministrativi, interni all’impresa in modo che questa possa continuare a crescere e prosperare nel tempo.
La cosa però va vista anche sotto un altro punto di vista: quello umano. Bisogna sempre ricordare che, in questo campo, ci troviamo ad avere a che fare con delle persone e non delle macchine: non è possibile infatti ridurre un individuo ad un semplice insieme di dati, numeri e competenze in quanto esso racchiude in sé molto più di quanto sia scritto su una scheda. Come conciliare dunque questi due aspetti apparentemente in conflitto?
Un lavoro duro
Chi pensa che lavorare nelle risorse umane sia semplice, probabilmente non ha mai avuto alcuna vera esperienza in questo settore. Sono passati solo alcuni mesi da quando sono diventata HR di rete per BSS-Italia e posso dire, senza paura di smentita, che si tratta di un ruolo gratificante ma anche impegnativo: la Rete del Valore è una realtà davvero imponente, che conta al suo interno decine di aziende ognuna con i propri dipendenti.
Dopo le mie precedenti esperienze manageriali come amministratrice di Valore Azienda, una startup innovativa specializzata in consulenza in gestione aziendale sempre inserita all’interno della Rete del Valore di BSS, e come manager di Pfactor, che si occupa di prototipazione, quando un anno fa mi proposero questo nuovo ruolo avevo già un’idea di ciò che mi aspettava ma, dato che la gestione delle risorse umane mi ha sempre appassionato, non ho potuto rifiutare una simile occasione.
Organizzare al meglio una simile moltitudine di persone è incredibilmente complesso, anche perché all’interno di tutte queste aziende diverse ci sono degli equilibri di cui è necessario tenere conto: agire alla cieca senza conoscerli si tradurrebbe in un sicuro disastro. Per questo motivo io, prima di intervenire su una qualsiasi società della Rete del Valore, mi consulto con l’amministratore o il project manager della stessa in modo da avere un quadro chiaro della situazione. Fatta quindi una lista delle priorità, il passo successivo è quello di parlare direttamente coi dipendenti.
Per quanto esistano altri metodi per interfacciarsi col personale aziendale, come ad esempio le videocall o il telefono, il confronto diretto rimane senza dubbio quello più efficace: ci sono troppi dettagli, piccole sfaccettature in grado di rivelare aspetti importanti dell’individuo, che in una comunicazione via PC o cellulare vanno irrimediabilmente persi e possono aiutare a comprendere meglio una persona. In questo senso quello che devo fare è andare oltre il semplice curriculum e capire chi è l’essere umano che ho di fronte, indipendentemente che si tratti di valutarlo o di dargli supporto.
Chiarite dunque le possibili problematiche e il personale a disposizione della società, ciò che resta da fare è ottimizzarne al meglio l’operatività tramite interventi come cambi di ruolo, ristrutturazione di reparti o altro a seconda delle situazioni. Il mio obiettivo finale è quello di valorizzare al massimo tutti i dipendenti e se per farlo è necessario percorrere delle nuove strade, allora il mio compito è quello di tracciarle e dare agli altri gli strumenti necessari per seguirle al meglio.
Persone prima che risorse umane
Come ho scritto all’inizio di questo articolo, uno degli aspetti fondamentali del mio ruolo è quello di ricordarsi di avere sempre a che fare con degli esseri umani. Considerare le persone che lavorano in azienda come persone e non solo come risorse, sebbene “umane”, aiuta a migliorare l’ambiente e a far sentire tutti parte di un progetto condiviso. In altre parole, messa da parte la vecchia mentalità che “i dipendenti sono solo numeri”, che devono fare solo quello che viene loro imposto e che devono osservare cieca obbedienza e totale sottomissione, si può creare l’impresa.
Un errore che ho visto fare a molti dirigenti è quello di creare una distanza non necessaria tra loro stessi e i dipendenti: in diverse aziende in cui è stato necessario il mio “intervento” addirittura mi sono dovuta scontrare con la sfiducia degli stessi lavoratori che, dopo anni in cui avevano visto il succedersi di diverse amministrazioni senza alcun cambiamento positivo, non riuscivano a credere alle mie parole quando gli dicevo che avevo intenzione di creare un ambiente di lavoro migliore e più produttivo.
Per superare questo tipo di diffidenza, ho dovuto dimostrare con i fatti le mie affermazioni: tanto per fare un esempio, in una delle ditte in cui ho operato, ho spostato gli uffici dell’amministrazione accanto a quelli dei reparti di acquisti e produzione. Si è trattato di un gesto tutto sommato piccolo, il cui scopo era quello di far vedere che noi non ci consideravamo al di sopra degli altri lavoratori, ma abbastanza concreto da convincere gli impiegati a fidarsi di nuovo dei propri datori di lavoro.
La dirigenza quindi deve sempre avere chiaro come vive il dipendente all’interno dell’azienda: le ore in cui lavoriamo infatti rappresentano la maggior parte del nostro tempo di veglia e, di conseguenza, se siamo scontenti durante questo periodo è ovvio che il malumore derivante ci accompagnerà anche per il resto della giornata, accumulandosi sempre di più col passare delle settimane. Come si può pretendere da qualcuno in questa situazione di essere produttivo e collaborativo verso i colleghi?
Per evitare simili situazioni, dunque, il mio consiglio è quello che i proprietari di un’impresa, pur mantenendo il loro ruolo, non dimentichino mai l’aspetto umano della questione e cerchino di essere di mentalità più flessibile. In quest’ottica può essere d’aiuto pensare all’azienda come ad una barca e a chi lavora al suo interno come ad un equipaggio: sebbene tutti i membri della ciurma a bordo abbiano un ruolo specifico, è solo collaborando gli uni con gli altri che possono sperare di continuare a navigare e raggiungere l’obiettivo che si sono prefissi.
Arianna Teardo